La presente bibliografia è stata scritta da Carla Weber ed è tratta dal volume “Educazione sentimentale” di Luigi Pagliarani, edito da Guerini e Associati (2001).
Bibliografia affettiva
di Carla Weber
Immersa in un ascolto intenso e fecondo dell’insegnamento di Luigi (Gino) Pagliarani ho ripercorso tempo fa, in occasione della collaborazione alla riedizione aggiornata di un testo di psicosocioanalisi1, gli scritti e le opere del mio maestro, pensatore e protagonista della ricerca psicoanalitica contemporanea. Ricostruire una bibliografia ragionata del suo contributo intellettuale e dello scambio tessuto attraverso la scrittura, ha significato per me lavorare a una bibliografia affettiva. Difficile è riferirsi agli scritti senza sentire la sua viva voce accompagnare i concetti a lungo riflettuti e argomentati in fitti confronti attenti a continue distinzioni e riferimenti alla sua biografia di uomo e studioso nato tra le due guerre mondiali, impegnato nella vita intellettuale e politica di questo paese. La bibliografia non può che essere bio-bibliografia; ogni suo scritto cioè può essere compreso se considerato come una «teoria con soggetto», se si risente il gusto della parola da comporre e scomporre, da riportare alle origini per ripotenziarla; della parola come azione riportata alla potenzialità di un codice che riprende contatto con la realtà alla ricerca della condivisione di un significato; se si risente, insomma, l’eco del linguaggio interrogante che apre domande — spazi di scoperta.
I testi scritti di Pagliarani sono così l’esito di un bisogno di intervenire, di approfondire una riflessione, di rompere un consolidato, di porre innanzi una provocazione, di dare un contributo presentificando una azione possibile. Riguardano sempre delle situazioni di scambio reali, sono testi scritti prima e dopo un incontro con altri e all’interno di un confronto attivo.
I testi possono scaturire sia da contesti formativi e convegnistici, sia dalle elaborazioni prodotte nella sua attività clinica e psicoterapeutica. Spesso sono lasciati circolare nella loro stesura originale, come dattiloscritto e quasi mai resi parte di un testo più sistematico. I testi che sono diventati «libro», lo sono diventati per l’interazione con l’intenzionalità di altri, che si sono impegnati a presidiarne l’esito. La modalità più amata da questo maestro è stata quella dell’intervento breve, sagace, puntuale e tempista. Tanti spunti, contributi per lavorare intorno a, ricercare sempre la stessa cosa: «come agire politicamente e responsabilmente, eticamente e esteticamente individualmente, socialmente e collettivamente entro il nostro tempo».
Per questo questa bibliografia sarà solo in parte rappresentativa del suo lavoro, poiché sarebbe necessario una bio-topia di ciò che ha prodotto. Bisognerebbe riuscire a raccontare, cioè, le situazioni che hanno creato quegli effetti di volta in volta diversi, e come tali cercati, nei seminari che ha condotto.
Leggendo i suoi testi si ritrovano gli stessi concetti, le stesse parole chiave del suo pensiero, ma sempre rinnovate e riformulate poiché la testualità è sempre l’esito di una interazione con qualcuno che chiede, registra, raccoglie, mette insieme, rilancia. Pagliarani si è sempre divertito a dire: «io sono un classico, dico sempre le stesse cose», ogni volta che gli veniva richiesto un approfondimento e gli veniva fatto notare come il suo pensiero fosse allo stesso tempo semplice e accessibile dal punto di vista del linguaggio in uso, e ricco e complesso rispetto alla possibilità di impadronirsene e agirlo nelle situazioni appropriatamente.
L’unità, nel caso del percorso di ricerca di Gino, è figlia di una rapsodia piuttosto che di una linearità. Il suo lavoro e la sua presenza nelle situazioni sono stati sempre connotati dall’approfondimento e dallo spiazzamento. Nel momento in cui la lettura di un fenomeno o di una situazione sembravano acquisiti giungeva una domanda capace di chiedersi se per caso non fosse vero anche il contrario. Risuona forte la sua domanda di verifica: «e allora?»
La curiosità per i punti di vista «altri» ha portato Pagliarani a un lavoro di ricerca e scoperta di contributi provenienti da altre traduzioni culturali o editi in altri Paesi, di cui spesso ha curato la traduzione. Questa attenzione viene riservata non solo agli autori canonici e disciplinari ma anche a scrittori e poeti che possono suggerire, mediante una ibridazione di codici, importanti indicazioni per la comprensione della condizione umana.
Ripercorrere l’opera, inventariando gli scritti che riuscivo a reperire2, mi ha permesso di ricostruire cronologicamente buona parte di ciò che Pagliarani ha prodotto3, e allo stesso tempo di approfondire la genealogia del suo pensiero e di coglierne l’originalità. È emersa così una ipotesi di lettura che ho assunto come filo conduttore di questo contributo.
Secondo me è opportuno leggere la personalità, il pensiero e l’opera di Luigi Pagliarani da una prospettiva propria di questi primi anni del ventunesimo secolo, riprendendola dalle origini, per la luce che getta sul presente, piuttosto che dalla prospettiva in cui è storicamente radicata, quella del vertice del pensiero moderno della metà del XX secolo, dove pure poggiano le fonti che l’intero percorso del lavoro di Pagliarani supererà mettendo in discussione quello stesso pensiero.
Una prospettiva bio-bibliografica, come ho già scritto, è indispensabile dato l’intreccio tra singolare e collettivo, personale e politico che caratterizza l’esperienza e l’opera di Pagliarani.
Il tratto più distintivo del suo lavoro è probabilmente quello di un antropologo del presente capace di comporre le suggestioni della poesia con i risultati della ricerca scientifica.
Ciò rende arduo il compito di individuare una traccia che però a ben vedere si profila, in particolare mediante la critica di una lettura che si limiti alle categorie della filosofia morale o di quelle della psicologia clinica.
La capacità di abitare la crisi del progetto moderno, con tutti i limiti propri di un tale tentativo, ha permesso di distillare un percorso originale capace di evidenziare i limiti del pensiero dialettico e i limiti della tecnica applicata alle scienze umane e psicologiche.
Ne emerge così un contributo critico di interpretazione e di prassi nella contemporaneità che va dalla sfera individuale a quella gruppale, dall’esperienza lavorativa a quella istituzionale, fino alla politica.
Questa prospettiva olistica non è priva di capisaldi che in particolare possono essere individuati nel dichiarato fondamento epistemologico dell’unicità del puer come carattere bioculturale di ogni individuo, fino alla ricerca intorno alla elaborazione dell’ambiguità, dei suoi vincoli e delle sue possibilità. L’approdo più significativo di questa ricerca riguarda l’individuazione delle condizioni per la bellezza di un progetto di emancipazione e l’analisi dei limiti del sempre possibile tradimento.
Nella via per far scaturire il costrutto della terza angoscia o angoscia della bellezza, dalla generatività del puer e dalla mancanza che lo connota sta forse l’impronta più originale del contributo di Pagliarani.
L’aspetto oltremodo interessante, in termini di «antropologia del presente» sta nel fatto che questo orientamento e questa ricerca riguardano oggi allo stesso tempo l’esperienza individuale e quello che sta accadendo nel mondo, cioè la condizione umana contemporanea che faticosamente riconosce i limiti della propria evoluzione e forse la prima possibilità di un progetto culturale autofondativo.
L’aspetto più significativo del contributo di Pagliarani sta perciò nella domanda riguardo alla capacità di vivere in una vita la bellezza del progetto elaborando le angosce relative e, nel caso della condizione umana, di riuscire a elaborare l’ambiguità del conflitto affrontando il rischio dell’autodistruzione.
È il fatto che la domanda rimanga aperta la principale fonte di responsabilità e anche il tratto etico più distintivo del suo contributo.
Ripercorrendo l’opera di Pagliarani si riconoscono scritti di diversa natura, orientati tutti a presentare lo sviluppo originale del suo pensiero, ora più attenti ad approfondire l’apporto teorico all’interno di un approccio che si va via via definendo come psicosocioanalitico; altri orientati a definirne le applicazioni e il metodo in campi diversi della ricerca, della formazione, dello sviluppo organizzativo; a ricercare le dimensioni critiche dell’agire istituzionale; a intervenire nelle questioni che sfidano come cittadini della polis. Seguirò questi diversi fili di approfondimento, come se potessero rappresentare quattro aree di impegno nella scrittura di Pagliarani, aggiungendo infine un quinto raggruppamento di testi narrativi, conversativi, autobiografici dove teoria della psicosocioanalisi e vita personale si intrecciano. Lo scopo è quello di orientare nella lettura di un pensiero documentato non sempre linearmente, ma allo stesso tempo con un livello di integrazione e coerenza tale da sorprenderci per la compattezza della trama che ne emerge. L’arbitrarietà che può essere riscontrata nel mio lavoro riguarda ciò che ho premesso nel titolo, cioè la scelta di percorrere la via di una biografia affettiva, che risente inevitabilmente del mio modo di incontrare, nei testi scritti, Pagliarani.
Carla Weber